La credenza vintage che si sente immortale

Sono sempre qui, nel bel mezzo del soggiorno. Immobile, come sempre. E non è che mi lamenti, intendiamoci, una credenza non è che debba per forza muoversi per sentirsi viva. Ma cosa diavolo ci faccio ancora qui? Dico, guardatemi: legno solido, robusto, che ha visto passare decenni di piatti, bicchieri, cene in famiglia. E ora? Ora mi ritrovo circondata da questa parata di mobili moderni che a malapena sanno cosa sia la polvere, figuriamoci l’età.

Guarda quella parete attrezzata lì. Bianca, grigia, nera. Sembra quasi che voglia scomparire, come se non avesse il coraggio di esistere davvero. Mi chiedo come si senta lì, appesa alla parete, a reggere la solita televisione, quel blocco di plastica che fa tutto il lavoro al posto suo. Design? Questo lo chiamano design? Alvar Aalto piangerebbe. Minimalismo, lo chiamano, come se bastasse togliere tutto per dire di aver creato qualcosa. Ma togliere senza capire cosa lasciare… questo non è minimalismo, è assenza. Vuoto. Anzi, è l’anti-design.

E proprio lì sotto, adagiato come un tappetino per cani. Il tappeto lo chiamano. Lo vedo e capisco subito che è stato comprato senza pensarci troppo, giusto per coprire un pezzo di pavimento e dimenticarsene. Sì, un tappeto che si crede importante perché è lì, disteso, ma non è che basti coprire qualcosa per diventare rilevante. Sai che ti dico, tappeto? Sei solo un riempitivo. Non c’è storia, non c’è memoria. Sei come quei mobili che si montano in due ore e poi si buttano dopo cinque anni, senza che nessuno ci pensi più. *Ponti* lo chiamerebbe “un errore di progettazione emotiva”. Ma tu, tappeto, non sei nemmeno un progetto. Sei un’idea buttata lì, svogliata.

E poi gli occhi cadono su di lui. Il tavolo allungabile. Eccolo. Tutto fiero nella sua capacità di diventare grande quando serve. Oh sì, fa il suo show quando arriva la folla, si allunga come un pavone che apre la coda. Ma adesso, stretto com’è, ridotto a un terzo della sua capacità, non fa altro che sembrare ancora più patetico. Pensi davvero che allungarti ti renda più interessante? Ridicolo. Sei solo un’illusione di grandezza. Sai cosa diceva Ponti sul design che finge? Che è una tragedia. E tu, tavolo, sei la più grande tragedia di questa stanza. Mi schiacci con la tua presenza quando sei disteso, quando le famiglie ti circondano, mi ignorano. Ma prima o poi anche tu finirai nel dimenticatoio, sostituito da qualcosa che non ha bisogno di mostrarsi per essere davvero importante. Ti sostituiranno, lo sai. Andrai fuori da qui, fuori dalla porta. La porta! Quale porta? Abbiamo questa cosa che chiamano porta a scrigno. “Scrigno”, come se nascondesse chissà quale tesoro. Ma non è altro che una porta che scivola silenziosa, senza lasciare traccia. Una porta che nemmeno sa cos’è il rumore di un vero serramento. Metallo e vetro, fredda e indifferente. Vuoi fare la dura, porta? Prouvé si metterebbe a ridere di fronte a te. Non sai nemmeno cosa vuol dire avere un’anima. Scorri sui binari come se non esistessi nemmeno. Non lasci nessun segno, nessuna presenza. Sei l’anti-design, la porta che vuole essere invisibile. E sai cosa? Ci riesci pure.

E il divano! Mi viene da ridere. Che ci posso fare? Quel divano! Non riesco a smettere di pensarci. Un divano nuovo! E va bene, lo capisco, avete voluto la vostra comodità. Dovevate stare stesi, con i piedi alzati, a guardare la televisione senza sforzi, senza nessun pensiero. Volevate rilassarvi. È diventato questo il punto centrale, a un certo punto: il relax. L’unica cosa che conta.

E lo so, dovrei farmene una ragione. Ma ogni volta che lo guardo, mi viene da pensare che non è giusto. Quel divano che c’era prima… quello sì che sapeva cos’era una stanza, cos’era una casa. E adesso? Ora c’è questa cosa molle che vi accoglie, che non vi chiede nulla. Un altro divano senza storia, senza carattere. Nemmeno economico, per carità, ma di quelli che si comprano oggi e si dimenticano domani. Tua madre non avrebbe mai permesso una cosa del genere. No, lei aveva scelto il suo Mara Lunga, progettato da Vico Magistretti nel 1973. Un divano con personalità, solido, robusto che sapeva cosa voleva dire abitare una stanza. Ma ora… ora questo coso molliccio e anonimo ha preso il suo posto.

Una cosa così non sarebbe mai entrata in questa casa, non quando c’era lei. Ma ti sembra una casa questa? Tutto buttato qua e là, senza un filo logico. E quei mobili? Li hai presi senza nemmeno pensarci, come se bastasse comprare qualcosa di nuovo per migliorare la tua vita. Ma non basta. Queste cose non dureranno. Te lo ricordi il tempo che passavi sdraiato qui, con i piedi sul vecchio Mara Lunga, mentre studiavi… o meglio, facevi finta di studiare?

L’avessi presa quella laurea!