In un laboratorio artigianale ogni lavoro è diverso dall’altro. L’artigiano non è una macchina, cambia il suo umore, cambiano i materiali di cui dispone, le sue idee e la sua ispirazione.
L’artigiano sceglie un tavola tra cento in una catasta di legno antico, mescola da sé i pigmenti per ottenere i colori, studia un incastro, inventa soluzioni pratiche per realizzare quel che ha in mente. Spesso cambia strada a metà dell’opera, e talvolta sbaglia….ma l’imperfezione del suo lavoro fa parte della sua unicità. L’artigiano è esattamente il contrario di un designer industriale, crede nell’unicità del suo lavoro, dettata dal momento e dal caso, non si affida mai alle soluzioni preconfezionate dell’industria del mobile: tutto questo sovverte la logica del prodotto di mercato.
Noi ci definiamo artigiani prima che designer perché veniamo da una formazione di bottega, non da una scuola di design; il nostro approccio al lavoro è squisitamente artigianale: ogni nostro mobile viene pensato, progettato e costruito come un pezzo unico, in un processo di continua metamorfosi in cui ogni prodotto finito è un prototipo che ispira il modello successivo.
Coinvolgere il committente nella progettazione è per noi fondamentale. Se noi siamo i cuochi spesso sono i nostri clienti a scegliere gli ingredienti: una gamba di un tavolo, i materiali di una credenza, l’altezza dei cassetti, un audace trittico di colori.
Il nostro percorso, mai lineare, è continuamente deviato, spezzato, indirizzato dal gusto personale dei singoli committenti che ci incontrano e inventano con noi uno stile.
Nascono progetti che prendono strade diverse, e molte di queste indicheranno la direzione per le nostre future esplorazioni.
Crediamo che questi tre elementi siano le micce che innescano il processo creativo.
Siamo come bambini che cercano l’equilibrio (im)possibile tra le forme; aspettiamo l’intuizione, quella virgola che cambia il senso di un intero progetto già nero su bianco; attingiamo a piene mani dal mondo del design e dell’arte, perchè no? Rubare idee, decontestualizzarle per poi trasformarle attraverso la lente dell’ironia non è copiare ma inventare.
Ma è verosimile che un artigiano sopravviva senza conoscere e masticare quotidianamente l’industria del design e della moda, e che non segua il trend del momento, con tutta la sua potenza comunicativa?
Oltre a questo confessiamo che un artigiano non sempre sente musica retro, vede i film in bianco e nero, va al lavoro in calesse ed è sincero. È influenzato anche lui dalla cultura di massa e vorrebbe anche lui essere un trendmaker.
Ma casualmente, estemporaneamente, è destinato a non esserlo; e questa è la sua grande fortuna: è libero di giocare e mimetizzarsi fra le tendenze dell’interior design e con un po’ di irriverenza introdurre qualche piccolo corto circuito, un innesto, uno scherzo o una provocazione che ne mutino radicalmente il senso.
È libero, come un pirata, di saccheggiare il patrimonio accumulato nella storia del design per spenderlo in un’unica gamba di un tavolo; libero di fare scorribande in epoche e stili diversi per poi contaminare i territori del contemporaneo; libero di fare tutte queste cose in una falegnameria, usando tutti i suoi strumenti: sega, pialla e pc.